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Anzio: Il Purgatorio -canti III e XXIV- nella lectura Dantis al Chris Cappell - 15.3.2008 di Angelo Favaro

 

Dante Alighieri compie un viaggio tutto spirituale e al contempo umano, e desidera fortemente non solo che ognuno di noi ripercorra con lui il medesimo viaggio, ma anche che ognuno di noi creda fermamente e contro ogni possibile dubbio che quel viaggio nei tre regni oltremondani sia reale e realmente effettuato da un viator alla ricerca della verità.Se il significato dell’Inferno è universalmente noto, così come i XXXIV canti di cui si compone la discesa fino a lambire Lucifero, l’angelo caduto, molto più problematico e difficoltoso, sia per quanto attiene all’interpretazione sia per quanto riguarda la costruzione topografica, appare il Purgatorio.
Necessario offrire le ragioni di una scelta, che come ogni scelta è dolorosa, in quanto escludente, ma doverosa, in quanto non è dato leggere integralmente la Commedia. Lucifero è scagliato giù dal Paradiso, dopo l’offesa a Dio, e finisce così profondamente nelle viscere, al centro della terra, da generare la voragine infernale, e tutta la terra che egli scava con la sua caduta, finisce con il costituire il colle del Purgatorio, ovviamente dalla parte opposta ove l’angelo è caduto. Dante, come ogni uomo del Medioevo, crede che la terra sia perfettamente divisa in due emisferi: uno delle terre emerse, e uno ove ci sono solo acque. Da Gerusalemme, nell’emisfero delle terre emerse, si entra nell’Inferno, mentre invece il colle del Purgatorio si trova dalla parte opposta, nell’emisfero delle acque, e alla sommità di quel colle, suddiviso in sette cornici, si accede attraverso il Paradiso Terrestre ai nove cieli del Paradiso. Il Purgatorio era sconosciuto alla Chiesa ed alla Teologia dei primi secoli dopo Cristo, infatti si cominciò a ravvisare la necessità di un luogo intermedio fra inferno e paradiso solo nel Medioevo, e il primo che trattò della possibilità di una purificazione per tutti coloro che non erano buoni perfetti, ma al contempo non erano neppure perfetti cattivi, fu Ugo di San vittore (morto nel 1141): egli stabilì che i buoni imperfetti dovessero sopportare alcuni disagi prima di giungere in Paradiso. Il primo a concepire ufficialmente il purgatorio fu il pontefice Innocenzo IV, nel 1254. Nel Purgatorio si purgano appunto i peccati commessi sulla terra, ovviamente peccati non così gravemente agiti da meritare le pene infernarli, ma esattamente dal più grave al meno grave vengono puniti la superbia, l’invidia, l’ira, l’accidia, l’avarizia, la gola, la lussuria. Le anime vengono spedite ciascuna nella cornice del proprio peccato, e poi quando hanno effettuato il giro della cornice vengono inviate in Paradiso, solo Dante evidentemente attraversa e percorre tutte le cornici. I canti scelti per la prossima lettura dantesca nell’auditorium del Chris Cappell College, ad Anzio, il 15 marzo, alle ore 18.00, con accompagnamento d’arpa, sono il III e il XXIV del Pugatorio appunto. Nel III canto Dante e Virgilio finalmente si accingono a salire per le cornici del Purgatorio, ma non sanno esattamente ove passare. Virgilio rammenta a Dante l’insufficienza della ragione umana a comprender tutto, ma la bella terzina “matto è chi spera che la nostra ragione/ possa trascorrer la infinita via/ che tiene in una sustanza tre persone” è la sintesi della fede nella trinità e nei limiti delle possibilità umane. Virgilio rimane turbato. Ma Dante gli mostra delle anime che sostano ai piedi della prima cornice, sono anime di uomini negligenti, che lentamente avanzano, e fra queste c’è Manfredi: il figlio di Federico II di Svevia e di Bianca Lancia, che appena diciottenne divenne principe di Taranto e Reggente del regno di Sicilia. Figura affascinante della storia, ma ucciso nel 1266, da Carlo d’Angiò, scomunicato da Urbano IV, le sue ossa rimasero senza sepoltura. L’incontro con Dante è essenziale per ricordare agli uomini l’amore di Dio e l’insufficienza delle scomuniche comminate da altri uomini benchè Papi. Ed il giovane Manfredi ripete a Dante due verità necessarie: 1. per la scomunica non si perde a tal punto la grazia di Dio da subire una punizione eterna, se ci si pente dei propri peccati, perché la misericordia di Dio ha braccia tanto grandi che accoglie tutti coloro che ad essa si rivolgono; 2. nel Purgatorio c’è la possibilità di avanzare più velocemente verso il Paradiso, grazie alle preghiere dei vivi che si ricordano dei defunti. La ratio della storia dell’uomo e quella del progetto di salvezza di Dio non sono sempre convergenti, ma talvolta divergono evidentemente. La Divina Commedia è divina per le note ragioni, ma è commedia proprio per la non comune capacità di Dante di interloquire, proprio come in un’opera teatrale, con personaggi storici, più o meno conosciuti, realmente esistiti, eppure tutti presentati nella loro straordinaria forza, fragilità, umanità: Manfredi si avvicina a Dante e Dante lo vede e a noi lo mostra “biondo era e bello e di gentile aspetto”. Nel canto XXIV, Dante è in compagnia della sua guida, Virgilio, e dell’amico Forese Donati, e del poeta Stazio, si trovano a passare per la sesta cornice del Purgatorio, ovvero la cornice dei golosi: costoro che in vita furono intemperanti dei piaceri della tavola, adesso per espiare la loro pena devono correre, soffrendo fame e sete, dunque sono paurosamente magri e scarni, e meditare su esempi di golosità punita e di temperanza. Dante dopo aver parlato con Forese della sorte dei suoi fratelli, Piccarda Donati, già in Paradiso, e ricevuta la profezia su Corso Donati, che andrà all’Inferno, prosegue e incontra il poeta Bonagiunta da Lucca, che lo riconosce e insieme parlano di poesia. A questo punto Dante può spiegare il significato del dolce stil novo e della sua poesia: meravigliosa la riflessione metapoetica. Che fanno due poeti quando si incontrano? Anche se sono in Purgatorio, parlano della loro più grande passione: la poesia! E siccome il canto è in versi, è un esempio pressocchè unico di disquisione poetica sulla poesia, in poesia. Al contempo il primo pezzetto di storia della letteratura italiana. Al termine Dante prosegue e giunge ad un albero carico di frutti, sotto al quale stanno tante anime protese verso i frutti, ma quanto più ardente è il loro desiderio, tanto più l’albero e i suoi bei frutti sono irraggiungibili. Dopo aver osservato esempi di gola punita, fra cui i Centauri sempre gonfi di cibo e vino; poi gli Ebrei sempre desiderosi di vino, esclusi da Gedeone dalla lotta; l’Angelo della Temperanza, splendente più del vetro, prima che sia soffiato, nella fornace, indica abbagliante il cammino, e si ode dire: “Beati coloro nei quali la grazie divina è tanto grande che l’istinto della gola non riesce ad accendere nel loro petto una brama smisurata, avendo sempre fame solo della giustizia”. Così il canto è realmente esemplificativo dell’atmosfera del Purgatorio e della continua presenza della speranza nella grazia e nell’amore di Dio. Quella del Purgatorio è la cantica in cui gli uomini appaiono nei loro peccati e nelle loro debolezze, ma anche nella speranza di riuscire a ricevere la pace di Dio, perciò non c’è la disperazione infernale, ma si è ancora lontani dalla pace celeste, l’itinerario verso la grazia è irto di difficoltà, ma certo. Se l’essere umano ha reale contezza di sé attraverso la piena percezione dello spazio e del tempo, allora il Purgatorio è la vera cantica dell’uomo, pienamente consapevole di sé, e dunque che soffre e spera completamente: sia nell’Inferno sia nel Pardiso il tempo è annullato dall’eternità, e lo spazio è l’iterazione o la stasi di una condizione infinita, nel Purgatorio, invece, la percezione del tempo, consentita dalla speranza di raggiungere l’agognato Paradiso, così come la cognizione dello spazio, data dal percorso delle cornici, sono esperienze ancora tangibili per le anime degli uomini.